Benvenuti. Questo blog non sarà aggiornato regolarmente e raccoglierà pensieri sparsi sulle una delle cose di cui mi occupo quotidianamente: la musica underground in Italia.
Dicevamo: una etichetta discografica post-apocalittica. In questo momento Roma è di nuovo in zona rossa e la domanda può sorgere spontanea: di quale apocalisse stiamo parlando? Perchè ce ne sono diverse, dalle più apparenti (la pandemia globale) a quelle meno apparenti (la frammentazione sociale in atto) a quelle più nascoste ed è una di queste l’oggetto del titolo di questo blog.
Chiedo a te, lettore…
Quanto tempo è che non finanzi un progetto musicale acquistandolo?
Quanto tempo è che non dai valore alla musica in quanto tale?
Quanto tempo è che non ascolti musica nuova di tua spontanea volontà? Non quella che sentivi da ragazzo (non sarebbe nuova), non quella che passano nelle playlist spotify, in radio, in televisione o in tutti quei posti in cui c’è ancora un po’ di musica (non sarebbe di tua spontanea volontà).
Sei sul sito di una etichetta discografica, quindi c’è qualche possibilità che la risposta sia l’ho fatto da poco.
Ma non tutti sono come te, lettore che supporta la musica. Al di fuori di questa bolla in cui noi entrambi ci troviamo c’è un mondo per cui la musica è soltanto accompagnamento di qualcosa d’altro.
Non voglio demonizzare queste persone. C’è una crisi culturale in atto ma non dobbiamo spaventarci. κρίσις in greco antico indicava una separazione, una scelta di qualcosa piuttosto che di qualcos’altro. Stanno cambiando gli spazi, i modi di fruizione della cultura, alcuni in modo quasi “obbligato” (la chiusura dei club) altri per via di alcune di queste “scelte critiche”: la musica “in abbonamento”, le playlist, la musica come “sottofondo”. Si potrebbero aprire dei discorsi sul perchè siano state fatte proprio queste scelte e su come non ci sia una vera educazione all’ascolto in Italia, ma…
Ha senso opporsi ai cambiamenti? secondo me questa non è la vera domanda che dobbiamo farci. La vera domanda è…
Senza gli introiti derivanti dalla vendite dei dischi, ha ancora senso per una etichetta discografica esistere? In che modo si può anche solo sopravvivere?
In molti hanno trovato la soluzione diventando dei venditori di servizi: arriva l’artista che ha bisogno del tuo know-how per produrre, distribuire, promozionare… e paga tutto questo.
Ma questa non è forse una resa? Non è come dire so che i dischi che faccio non valgono nulla e non mi porteranno mai profitto?
Io ho scelto una strada diversa. L’apocalisse c’è stata, è arrivato il momento di iniziare a ricostruire ridando il giusto valore alle cose. Ci sono alcune cose che vanno fatte a prescindere da tutto il resto. Qualcuno deve alzarsi in piedi e fare la cosa giusta. Io ho scelto di fare la cosa giusta.
A presto e buon ascolto.