Confrontandomi con giovani artisti quotidianamente mi sembra quasi che a volte non ci sia la capacità di avere uno sguardo più a lungo raggio rispetto a quella che è la musica, legati come siamo all’ultimissimo momento o poco più.
Mi trovo spesso a fare dei riferimenti ad artisti passati e mi si viene risposto che “è cambiato tutto”. Ma è cambiato tutto per davvero?
Prendiamo come primo riferimento temporale il primo vero spartiacque della musica italiana, ovvero l’uscita di “Nel blu, dipinto di blu” (1958). Il pezzo viene portato a Sanremo – dove vincerà – da Modugno (trentenne, che ne era l’autore) perchè nessuno era desideroso di cantarlo, veniva considerato troppo di rottura. Il secondo cantante (all’epoca al Festival i brani venivano interpretati da due cantanti diversi) è un ventunenne esordiente, Johnny Dorelli. Nel 1960 Mina ha vent’anni quando è prima nelle hit parade con “Il cielo in una stanza”. L’anno dopo è la volta di Adriano Celentano (all’epoca ventitreenne) con “Nata per me”. Nel ’63 prima in classifica c’è la diciottenne Rita Pavone e l’anno dopo il ventenne Gianni Morandi. La discografia è dominata dai singoli, all’epoca sotto forma di vinili 7”/45rpm. Gli album non sono che raccolte di questi singoli, che a loro volta hanno una durata media assai breve e difficilmente superano i due minuti e mezzo. “Gianni Morandi”, l’album d’esordio dell’artista omonimo, arriva a trenta minuti scarsi con 12 pezzi (di cui solo uno precedentemente inedito), mentre il singolo di lancio “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” dura appena due minuti e quattordici. E non si può certo dire che i giovani ascoltatori di allora avessero un attention span ridotto a causa di smartphones e social network!
Saranno gli anni settanta a spostare l’attenzione sul formato “album” e ad allungare la durata media delle canzoni, soprattutto attraverso il boom del progressive rock.
E’ chiaro ed inequivocabile che siano cambiati i mezzi di fruizione della musica pop ma il mainstream è un serpente che divora sè stesso e quindi vediamo il nuovo a immagine e somiglianza del vecchio (qual’è la differenza tra una playlist di spotify e una radio tematica?)
E’ altrettanto chiaro che le sensibilità artistiche sono in costante mutamento, come è giusto che sia, pur ricadendo sempre negli stilemi dei grandi e classici archetipi dei generi musicali del novecento: il rock, il punk, il rap, il synthpop anni ottanta, il pop arioso all’italiana, spesso contaminati tra di loro in vario modo in una sorta di “best-of” di questo e di quello.
Non credo quindi che stiamo vivendo un momento particolarmente speciale nella storia della musica pop, piuttosto che chi non ricorda il passato è destinato a sorprendersi di ogni cosa che vede.