La frase che più spesso mi sento ripetere dagli addetti ai lavori riguardo i miei artisti è che “non ci sono i numeri”. Chiedo: ma vi interessa la nostra proposta? Sì, ma non ci sono i numeri. Questa frase viene ripetuta ossessivamente, come un mantra.

L’elefante nella stanza della discografia indipendente (e non) è che questi numeri non sempre rappresentano qualcosa. Sapete che Spotify fa vedere ciò che ascoltano i tuoi amici? ho visto amici musicisti ascoltare i propri brani in continuazione per far “crescere il progetto”. E poi c’è la “manipolazione degli streaming”, ovvero l’acquisto – assolutamente vietato dai termini d’uso di Spotify – di streaming fasulli.

D’altra parte in un mondo dove chiunque può fare musica e uscire su Spotify c’è bisogno di un criterio di scelta e questo non può che essere quantitativo. Non c’è educazione all’ascolto e quindi non ci rimane che il numero per decidere cos’è buono e cosa non lo è.

Quello che spesso tutti dimenticano è che dietro quei numeri – quelli veri, ovviamente – ci sono degli ascoltatori, delle persone, dei microcosmi bellissimi con le loro vite, i loro fantasmi, le loro gioie e le loro tragedie. Se potessi li ringrazierei uno ad uno.
Così come ringrazierei quel ragazzo che, durante il concerto di Anna Soares al Klang, era seduto ed era come in trance. Quel concerto poteva aver senso anche per quella singola persona.

La musica è (anche) comunicazione. Quindi a tutti quelli a cui è arrivato qualcosa dai dischi che abbiamo fatto…
Grazie.
E non arrendetevi ad essere soltanto “numeri”, di solito quello è preludio di cose nefaste.