L’anno scorso, con la vittoria dei Maneskin all’Eurovision, molte persone che di solito non si occupano affatto di musica hanno iniziato a parlare di “rinascita della musica italiana” e di “importanza della gavetta” (come se aver fatto qualche volta del busking fosse aver fatto la gavetta). Non passa giorno che non aspetti il momento in cui queste persone non tornino nell’oblio musicale da cui provengono perchè la realtà, per tutti noi che ci occupiamo di musica giornalmente, è ben diversa.
La realtà è che la musica in Italia – in quanto espressione culturale – non esiste.
Qualche giorno fa un mio artista mi raccontava del rapidissimo successo di Madame avvenuto grazie anche ad alcuni reel instagram di Cristiano Ronaldo. Chiniamo il capo di fronte a chi fa cose realmente importanti e utili come giocare a calcio, altro che la musica.
Ma quello di Madame è un caso come tanti altri. Blanco fa un EP durante la quarantena, lo pubblica su Soundcloud e ottiene un contratto con Universal. Ariete fa XFactor, esce quasi subito ma rimane dentro abbastanza da farsi notare da Bomba Dischi (una etichetta “indie ma non troppo”, distribuita da Universal).
Eppure, nonostante questa cultura del “successo facile ed immediato”, continuo a raccontare ai miei artisti (e agli artisti con cui entro in contatto) l’importanza della gavetta, del fare buon viso a cattivo gioco, dell’accettare ciò che viene e del cercare di fare del proprio meglio, del mettere “un mattoncino sopra l’altro”, perchè una casa si costruisce dalle fondamenta, perchè “Roma non è stata costruita in un giorno”… loro ovviamente mi dicono: ma invece Madame? e Blanco? (e tanti altri?)
Forse dovremmo mettere delle demo su soundcloud e attendere che qualcuno le noti, per Blanco ha funzionato.
O forse dovremmo cercare una visibilità televisiva.
O forse ancora l’endorsement di qualche calciatore o qualche altro influencer.
Se in Italia esistesse un “sistema culturale” funzionante queste domande non esisterebbero. E d’altra parte non credo che esista una risposta semplice.
Madame, Blanco e Ariete però hanno alcune caratteristiche in comune: sono molto giovani (2002, 2003, 2002), hanno una spiccata attitudine “urban” come si confà allo spirito del tempo e hanno un vasto team che li supporta nella scrittura e nella produzione dei loro brani. Voglio dire una cosa probabilmente impopolare: lasciare esclusivamente a persone così giovani l’interpretazione “mainstream” tramite la musica di un tempo così difficile come il nostro è un grandissimo errore che stiamo facendo.
Chiediamo a questi ragazzi una consapevolezza che non hanno e non possono avere.
D’altra parte questa progressiva perdita della complessità (tipica anche della proposta musicale e non solo lirica di questi artisti) fa della musica – giocoforza – un prodotto esclusivamente per giovanissimi. La musica è un’arte millenaria che ha accompagnato le molteplici vicende umane in epoche così diverse tra di loro e ora è ridotta a puro escapismo per ragazzini. Ma non deve essere per forza così e la risposta non è nel passato, è attorno a noi, solo non possiamo chiederla a Madame.